OGM: botta e risposta tra Mieli e Martina, che cita ANBI
Il dibattito politico attorno agli OGM torna a scaldarsi dopo il fondo di Paolo Mieli apparso nei giorni scorsi su Il Corriere della Sera. Il giornalista non solo aveva attaccato con durezza il professor Infascelli per aver manipolato i dati al fine di dimostrare una ad oggi inesistente pericolosità degli OGM, ma aveva anche puntato il dito, dati alla mano, sulla gestione italiana e europea di questo tema citando espressamente il ministro Maurizio Martina.
L’Europa autorizza un solo Ogm autoctono, quello del mais, coltivato in Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania e Slovacchia. Ne importiamo invece cinquantotto da Stati Uniti, America Latina, Canada e Cina. Sempre in ottobre, a Strasburgo, il Parlamento europeo ha bocciato a grande maggioranza i limiti all’importazione e all’utilizzo di quei cinquantotto tipi di Ogm.
E qui in Italia si importa mais geneticamente modificato (al 40%) e soia (addirittura all’80%)… Il ministro dell’Agricoltura ha minimizzato dicendo che in Europa su 28 Paesi 19 hanno preso le nostre stesse decisioni e che la superficie Ogm nel nostro continente si va riducendo. Peraltro il 92% del mais biotech è coltivato in Spagna. Si ripete insomma quel che era già accaduto con il nucleare: ne impediamo studio e produzione in Italia e lo importiamo da fuori, talvolta prodotto da centrali situate ai nostri confini. Con la differenza che i rischi del nucleare erano ampiamente provati mentre quelli degli Ogm sono stati «documentati» da un professore napoletano che per portare a termine l’impresa si è visto costretto a forzare i dati scientifici. E se all’improvviso ci vedremo costretti a salvare le gestanti dal virus Zika, anche noi dovremo rivolgerci alla Oxitec per ottenere zanzare geneticamente modificate. Di nascosto, per carità. Senza che si sappia in giro.
Il Ministro si è sentito di dovere una risposta e lo ha fatto citando un brano della lettera con cui l’ANBI ha salutato lo stanziamento di 21 milioni di €, all’interno della legge di stabilità, per il rilancio del miglioramento genetico vegetale.
Caro direttore, «l’inserimento nella legge di stabilità di 21 milioni di euro a sostegno di un piano triennale per rilanciare il miglioramento genetico in agricoltura è una chiara indicazione che finalmente le biotecnologie troveranno uno spazio anche in questo Paese. Dopo decenni di impasse, si riconsegna dignità a un settore di ricerca finora, nonostante le potenzialità e le competenze espresse dai nostri ricercatori, bistrattata se non osteggiata. Vediamo con favore questa apertura a sostegno della ricerca pubblica in agricoltura ed auspichiamo che questo sia il primo passo di una strada che porti a un dialogo sulle biotecnologie agrarie capace di andare oltre le sigle e abbandonare le barricate ideologiche».
Sono queste le parole d’apertura della lettera dell’Associazione nazionale biotecnologi italiani a seguito dell’approvazione del nostro piano per la ricerca sostenibile in agricoltura. Parto di qui per rispondere volentieri alle sollecitazioni di Paolo Mieli che ha voluto porre con forza il tema della ricerca affrontando la questione Ogm.Non siamo all’anno zero e non abbiamo la testa rivolta al passato.
Nella sua replica Martina ha inoltre difeso la sua posizione sugli OGM e rivendicato di aver innanzitutto ridato risorse ad un settore che non vedeva finanziamenti da molti anni.
Spesso i nostri ricercatori, prima che impedimenti di legge nella sperimentazione, non hanno avuto nemmeno le risorse per lavorare in laboratorio. Il piano colma questo deficit con l’ambizione di prepararci ai futuri scenari nei quali saranno proprio queste tecnologie le frontiere più avanzate nel rapporto tra tutela della biodiversità e sviluppo della ricerca pubblica. Certo, molto lavoro rimane da fare, ma siamo pronti a supportare i nostri ricercatori con azioni concrete e di prospettiva. Collochiamo i nostri sforzi sulla frontiera più avanzata delle tecniche di ricerca, sapendo che per fortuna la scienza ha affinato le proprie attività e ragionare oggi dei vecchi organismi transgenici degli anni 90 è un errore. Ci convince di più insistere tenacemente per rafforzare una via italiana alla ricerca pubblica in campo agricolo e non riprendere un dibattito che ha già frenato troppo il nostro Paese nella sua capacità di avanzare su questo fronte decisivo.
Per completezza, Prometeus ripresenta anche la lettera integrale inviata da ANBI al Ministro Martina.
L’inserimento nella legge di stabilità di 21 milioni di euro a sostegno di un piano triennale per rilanciare il miglioramento genetico in agricoltura, così come annunciato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (che assumerà il nome di Ministero dell’Agroalimentare quando la riforma Madia sarà a regime, ndr) è senza dubbio una chiara indicazione che finalmente le biotecnologie in agricoltura troveranno uno spazio formale anche in questo Paese. Di questo va dato merito al Ministro Martina che è riuscito, dopo decenni di impasse, a ridare dignità a un settore di ricerca finora, nonostante le potenzialità e le competenze espresse dai nostri ricercatori, bistrattata se non direttamente osteggiata.
L’Associazione Nazionale Biotecnologi Italiani, che in questi mesi ha partecipato assieme alle altre società scientifiche al dibattito che ha portato a questa decisione, vede con estremo favore questa importante apertura a sostegno della ricerca pubblica avanzata in agricoltura ed auspica che questo sia il primo passo di una strada che, come abbiamo già avuto modo di sottolineare anche al Ministro Martina, porti a un dialogo sulle biotecnologie agrarie capace di andare oltre le sigle e abbandonare le battaglie e barricate ideologiche. Battaglie che tradiscono non solo lo spirito della scienza, ma vanno anche contro il bene comune.
Ci auguriamo anche che gli investimenti in studi genomici sulle principali specie agrarie di interesse nazionale possano essere seguiti da programmi applicativi in un’ottica di filiera, perché come da sempre sosteniamo, le attività di isolamento, tutela e valorizzazione delle piante maggiormente coltivate nel nostro Paese devono essere integrate per poter rappresentare un asset su cui basare la crescita del sistema agroalimentare e la protezione del Made in Italy.
L’Italia aveva un disperato bisogno di rilanciare la sua ricerca nel campo del miglioramento genetico ormai ferma da quasi due decenni. I metodi di cisgenesi e genome editing rappresentano senza dubbio le nuove frontiere ed è giusto investire su queste. Non dimentichiamoci però che queste non sono le uniche biotecnologie possibili, e forse dovremmo prestare maggiore attenzione anche a quelle ricerche in corso da anni che purtroppo non possono varcare la soglia del laboratorio per poter essere sperimentate in campo. Per questo un pò di rammarico permane, perché come anche dimostrato dal recente caso del professore dell’Università Federico II, le cui ricerche a dimostrazione di una presunta pericolosità degli OGM sono sotto osservazione da parte di una commissione di indagine voluta dal Rettore dell’Ateneo per la verifica della loro rigorosità scientifica, è importante che l’attenzione venga posta sulla qualità delle ricerche e non sulle sigle. La ricerca si può e si deve distinguere in “buona” e “cattiva”, ma solo sulla base della qualità e onestà con cui viene realizzata e presentata, non sulla base di preconcetti che poco hanno a che vedere con la realtà delle cose.