Biotec: Boom o Bolla?
Qualche settimana fa, discutendo l’andamento finanziario del biotech americano, ho utilizzato una contrapposizione piuttosto evidente: un articolo caratterizzato dalla visione positiva dei trend con un titolo contenente un termine con accezione negativa e dai pessimi presagi (Bolla).
Tale contraddizione nasceva essenzialmente da una domanda che, come diceva Lubrano, “sorge spontanea”: stiamo vivendo in un boom o in mezzo ad una bolla? Nel primo caso è lecito chiedersi se è sostenibile e per quanto lo sarà, nel secondo tra quanto esploderà.
Certamente, non solo noi di Prometeus ci siamo posti il quesito, e da qualche settimana molti analisti hanno scritto a riguardo. In questi giorni però Mandy Jackson (@ScripMandy) e Lisa LaMotta (@BioWriterChik) sulle colonne di Scrip Intelligence hanno provato a confrontarsi sul tema aprendo ufficialmente il dibattito.
E interessante notare che le rispettive, opposte, posizioni sono sostenute da motivazioni convincenti.
Secondo Mandy Jackson, il trend negativo di IPO dell’ultimo trimestre indica l’approssimarsi di un periodo di restrizione di capitali, probabilmente causato dalla significativa attività di investimento e fusioni-acquisizioni dei periodi precedenti.
Al contrario, Lisa LaMotta evidenzia che la riduzione del numero assoluto di IPO rapportato all’aumento del loro valore nominale indica una profonda maturazione del settore: le start-up che si affacciano ai mercati non sono solo “portatrici di speranze” come nei primi anni duemila, ma sono “portatrici di asset scientificamente solidi e sostenibili”.
Chi ha ragione? Scontato che solo il tempo potrà darci una risposta, proviamo anche noi ad analizzare gli elementi che possono sostenere uno scenario o l’altro. Con una considerazione, fondamentale. Quando si parla in termini generali di Biotech boom o Biotech bubble si è in errore. Si dovrebbe invece precisare Red biotech boom o bubble. Infatti, ciò che è particolarmente evidente è che il fermento è concentrato in maniera preponderante in ambito Biotecnologie Mediche e Farmaceutiche. E’ vero che gli indici si riferiscono all’intero settore, ma ad analizzare i dati si osserva che le regine del mercato ed i movimenti di capitali interessano principalmente start-up operanti nel settore della salute.
Fatta questa doverosa premessa è palese che gli indici biotech in USA galoppano, con alti e bassi, da circa tre anni con gli ultimi cinque quarti in grado di segnare un record dietro l’altro. La honeymoon dura da troppo tempo? Forse no: l’apprezzamento dei titoli infatti non è stata generale, ma molto selettiva. Probabilmente è lecito allora affermare che l’ecosistema è maturo e può essere sostenibile a lungo termine. Inoltre, sembra che il biotech non sia più solo “terra di conquista” per il Venture capital, ma altre tipologie di investitori, con prospettive di più lungo termine, hanno cominiciato ad interessarsene. Infine, le dinamiche di creazione di nuove start-up hanno raggiunto uno steady-state e non mostrano picchi anomali.
Al contrario, tuttavia, alcuni rischi tradizionalmente caratterizzanti il farmaceutico sono particolarmente esacerbati nel biotech: nuove tecnologie innovative con fondamenti scientifici molto complessi (es. CAR-T), richieste regolatorie molto stringenti (es. definizione esatta di meccanismi d’azione, controllo della scalabilità dei processi e delle purezze dei lotti), percorsi di sviluppo clinico sempre più complessi (che devono essere in grado di dimostrare non solo efficacia e sicurezza, ma anche sostenibilità farmacoeconomica) e nuove politiche di austerità e riduzione dei budget di spesa farmaceutica, minano profondamente le possibilità di lanciare prodotti di successo in grado sia di soddisfare bisogni medici insoddisfatti sia di generare profitti.
Se siamo nel pieno di un boom o a rischio bolla rimane quindi una questione aperta: certo è che le pipelines si stanno arricchendo dopo anni di stagnazione. Così come molti investitori ed executives: basti pensare a Hans Bishop di Juno Therapeutics e Arie Belldegrun di Kite Pharma, che nel 2014 hanno ricevuto compensi per 88 e 95 milioni di dollari, rispettivamente, secondo quanto riportato da Bloomberg. Quel che è certo, c’è da scommettere, è che tra qualche anno Genzyme, Gilead, Genentech, BioMarin, Amgen e Shire avranno nuove concorrenti di pari dimensioni.