EXPO2015, scoppia il caso Vandana Shiva
Era il maggio 2013 quando Prometeus raccolse le prime perplessità per lo spazio offerto alla discussa attivista indiana Vandana Shiva all’interno di EXPO2015. A far alzare più di un sopracciglio soprattutto il fatto che, a tirarla sul carrozzone dell’esposizione universale dedicata a come sfamare il pianeta, fosse stata una Università, quella di Milano Bicocca.
All’epoca Prometeus ospitò anche un’intervista alla Professoressa Lavitrano, referente per Bicocca su questo tema, la quale rivendicò la decisione dell’ateneo sottolienando l’autorevolezza internazionale della Shiva.
Vandana Shiva è una voce autorevole nel dibattito mondiale relativo alla stretta correlazione tra sviluppo sostenibile e modelli di governo e di democrazia e pone i giovani difronte allo scenario di complessità cui sono chiamati a dare una risposta, come ricercatori in erba ma anche come cittadini, in un contesto in costruzione tra scienza, diritto e società.
Questa autorevolezza sembra però scricchiolare dopo il lungo reportage a firma Michael Specter apparso su The New Yorker e che mette in dubbio non solo la credibilità delle affermazioni della Shiva, a partire proprio da quelle sugli OGM (in particolare sui suicidi dei contadini indiani), ma anche il suo curriculum scientifico.
In Italia è il Foglio a riprendere la querelle e, dopo aver ricostruito il botta e risposta tra Shiva e The New Yorker, decide di andare a fondo della questione mettendo in prima pagina domande molto simili a quelle che Prometeus fece più di un anno fa:
La Shiva è arrivata all’Expo attraverso la porta che meno ti aspetti, quella dell’università, e oggi che la sua credibilità – dal suo presunto curriculum scientifico ai contenuti della sua propaganda – è a pezzi, è inevitabile chiedersi come questo sia stato possibile. Quali sono i meriti scientifici che l’università ha riconosciuto e certificato alla Shiva? E siamo sicuri che non si possa rimediare?
L’Expo milanese ha come titolo “nutrire il pianeta”. Si parla di cibo, agricoltura e quindi di povertà: come è possibile che le tecnologie più avanzate nell’ambito del miglioramento genetico delle piante agrarie, grazie a una scelta politica che ha visto concorde tutto l’arco costituzionale, siano state tenute lontano da un evento simile? Come è possibile che a un mondo che chiede pane, e competenze per produrlo, Expo risponda consigliando brioches?
A corollario il Foglio ospita inoltre un’intervista a Eddo Rugini, il professore dell’Università della Tuscia costretto nel 2012 a distruggere i propri campi sperimentali, che interviene sia sul caso Shiva che sul ritardo, culturale in primis, del nostro paese sul tema della ricerca:
Il 12 giugno 2012, nella mia università, ci è stato imposto di praticare un’iniezione letale alle piante su cui sperimentavamo, poi di sradicarle.
Oltre 300 piante transgeniche, fra olivi, kiwi, ciliegi, costruite per essere tolleranti a siccità, freddo e diverse malattie. Da dieci anni avevamo iniziato la sperimentazione vera e propria. Ma prima di arrivare ai risultati, ci è stato imposto da Roma di bruciare tutto.
Oggi quella sperimentazione si può fare ovunque in Europa, ma non da noi. La ricerca è vietata. Ecco il nostro biglietto da visita per l’Expo.
Renzi potrebbe dare un altro segnale positivo rottamando certi santoni e certi tabù dell’Expo di Milano.