Pronti per una nuova generazione Erasmus+?
Lo scorso 19 novembre, il Parlamento Europeo ha approvato il finanziamento di 14.7 miliardi di euro al nuovo programma Erasmus+ il nuovo programma che, con l’obiettivo di supportare economicamente oltre 4 milioni di persone, da gennaio sostituirà ed espanderà il vecchio e noto Erasmus. In Italia, nel periodo 2007-2013, ben 220.000 giovani hanno usufruito del programma Erasmus, secondi solamente a Francia e Germania. Erasmus+ rappresenterà pertanto una grossa sfida e una forte opportunità per il nostro paese.
Erasmus+ comprenderà tutti i programmi di formazione e mobilità universitaria, ma anche il training, la formazione continua professionale e le azioni di supporto alla crescita delle competenze giovaninili. Il focus principale di Erasmus+ non sarà sulla mobilità, ma sulla crescita ed il miglioramento delle skills associate ad una maggiore occupabilità. Mobilità che sarà quindi mezzo per la crescita individuale e non fine ultimo, avendo già il programma Erasmus concorso, in passato, alla creazione e al consolidamento di una generazione di nativi europei: due terzi del budget sarà pertanto allocato a specifiche opportunità di formazione all’estero.
Una delle novità interessanti che sono presenti nel nuovo Erasmus+ è la presenza di uno schema di prestiti fiduciari garantiti da fondi europei e gestito dal Fondo Europeo per gli Investimenti, sulla falsariga dei modelli anglosassoni che nello scorso decennio hanno avuto particolare successo.
Una quota importante del budget di Erasmus+ sarà destinata al supporto economico di partnership fra università, centri di formazione, organizzazioni di categoria ed imprese, per creare sinergie, scambio di buone pratiche, cross-fertilizzazione e modernizzare i metodi di formazione, con una particolare enfasi alla promozione dell’innovazione e dell’imprenditorialità.
L’assunto alla base di questo nuovo programma, più volte discusso anche in questa rubrica, è infatti che in Europa, ed in alcuni paesi come l’Italia in particolare, coesistano un alto livello di disoccupazione e la difficoltà, da parte del mercato del lavoro, di trovare professionisti che possiedono le skills giuste e necessarie. Solo attraverso la messa a sistema di tutti gli attori della filiera della conoscenza, dall’università che la genera e la trasferisce agli studenti, fino alle aziende che debbono influenzare la formazione universitaria e post-lauream affinché sia garantita loro l’assunzione di personale funzionale alle necessità dell’economia reale. Qualcosa che, con ANBI e la Federazione Europea delle Biotecnologie abbiamo da sempre come mission, per mettere i biotecnologi nelle condizioni di essere partecipi di un sistema in continua evoluzione, dal punto di vista non solo tecnologico ma anche delle competenze necessarie per vincere le sfide dell’innovazione, della creazione di impresa e dei curricula ibridi fra ricerca e post-ricerca.
Per poter vincere questa sfida, però, il nostro Paese deve accettare di giocare una sfida globale, quella della formazione in un sistema Europeo. Troppo spesso la burocrazia e l’eccesso di regolamentazione hanno rappresentato seri ostacoli alla mobilità e al riconoscimento della formazione compiuta all’estero. È venuta l’ora di abbattere i tabù della regolamentazione a tutti i costi, perché le skills, che guideranno sempre più il mercato del lavoro, non possono essere create per legge, ma debbono poter esser riconosciute dal mercato del lavoro.