Ne hanno salvati più del 118
Davanti all’inaccettabile protesta allo stabulario di Via Vanvitelli a Milano, che Prometeus ha documentato, resto con l’impressione che quando, al di là delle ragioni e dei sentimenti, una qualunque causa perde la testa nel fanatismo che tutto legittima, finisca sempre per perdere di vista le sue ragioni e di esprimere una rabbia che con il problema c’entra poco. Nel caso specifico non mi stupirei che, almeno ai più aggressivi, interessi più combattere il “nemico” che migliorare le reali condizioni degli animali.
Valuto spesso l’esito di studio animali, e non lo faccio a cuor leggero.
Ricordo come una delle esperienze più scioccanti della mia infanzia fu la lettura della sperimentazione neurobiologica sui delfini, creature che adoravo e che mi inspiravano empatia ed ammirazione. Il mio librone descriveva appena l’esperimento, ma l’indifferenza al dolore inflitto per una curiosità che ancor oggi giudico irrilevante era sconvolgente. Come sconvolgente è ancora oggi leggere gli articoli scientifici di trent’anni fa sullo stesso argomento (ne ho riletto uno per questo post) come altri sulla sperimentazione animale che, per lavoro, ho dovuto leggere negli anni. Mi domando seriamente se questi sperimentatori avessero dei problemi psicologici che sfogavano sulle povere bestie, o fossero semplicemente del tutto indifferenti. Domanda che mi sono posto anche frequentando vent’anni fa, seppur per poco, il dipartimento di fisiologia.
Gli animali erano visti come un foglio di carta, su cui si può scrivere una poesia (leggi fare una sperimentazione utile) o fare uno scarabocchio, tanto si butta via a costo quasi zero.
Basta leggere ancora oggi i lavori scientifici di un po’ tutti i paesi emergenti, dai paesi arabi all’India, in cui si usano ratti e topi per i più vari esperimenti che, poi, scientificamente valgono zero.
Di strada, da quei contesti, ne abbiamo fatta tanta in Europa. E’ cambiata la sensibilità etica.
Non dobbiamo dimenticarci che l’indifferenza verso le sofferenze non era riservata agli animali. Leggere i lavori con sperimentazione umana lascia altrettanto senza parole; non parlo dell’ottocento, parlo di qualche decina di anni fa.
Il desiderio di sapere, di conoscere – nei migliori (nei mediocri quello di tentare di replicare con meno intelligenza e cognizione di causa) – non aveva, a volte, limiti neanche nei confronti degli altri essere umani. Non penso neanche che, in generale, l’etica comune sia diventata più sensibile (ricordando come la pensava mio nonno nei confronti degli animali). Semplicemente gli scienziati non ci badavano, e facevano quello che gli pareva; chi aveva dubbi, doveva probabilmente farseli passare.
Credo che ci sia stata, nel tempo, l’accettazione che la scienza deve rispondere alla società, anche sul piano etico. Trent’anni fa – forse ancora oggi – c’erano, soprattutto in Italia, accademici che da modi ed atteggiamenti si ritenevano appartenenti ad una “casta” superiore che non doveva rendere conto a nessuno, e che più che di esperimenti viveva di dogmi. Oggi tutto questo mi sembra rivoluzionato; la sperimentazione animale, anche da chi la deve praticare e quindi deve avere un certo distacco, viene vissuta in tutt’altro modo, e chi appare ingiustificatamente fuori luogo sono coloro che protestano in modo sconsiderato.
Anche in campo alimentare, d’altro canto, la sperimentazione animale si fa, eccome.
E’ grazie ai risultati della sperimentazione animale, dal bisfenolo all’aspartame, che sulla sicurezza alimentare si aprono i dibattiti più accaniti e le situazioni più controverse.
Naturalmente, e fortunatamente, c’è anche molta ricerca per trovare metodi alternativi, che deve continuare. Ad oggi però ci sono domande a cui solo la sperimentazione animale può dare risposte, semplicemente perché le prove in vitro (o, in silico, al computer) non sono affidabili, e l’osservazione nell’uomo, anche ove eticamente lecita, non è sufficientemente potente per darci le risposte che cerchiamo.
La risposta non può essere che spiegare, dialogando con chi è capace di dialogare, difendendo le proprie ragioni, limitando la sperimentazione a quanto è effettivamente necessario, cercando alternative e soprattutto facendo buona scienza. Nella convinzione che se anche sono le spinte profonde ad ispirarci l’empatia verso gli animali e la curiosità di sapere, ed è dal profondo che nascono i valori, gli affetti e sentimenti che ci rendono umani, solo sotto il controllo della ragione e del rispetto possiamo dialogare e progredire.
Con la consapevolezza che, parafrasando gli americani, topi e ratti di laboratorio hanno salvato più vite delle ambulanze del 118…