…è più forte di me (e di te)

Le 2 parole di oggi sono dedicate ai fatti di questi giorni, o meglio, ai protagonisti dei fatti di questi giorni. Occupanti e occupati. Animalisti e ricercatori.

La sperimentazione animale, abbiamo visto, è capace di suscitare sentimenti forti, come dimostrano bene anche i commenti raccolti da Prometeus. Quello cui in genere si assiste in questi casi è un breve scambio di idee seguito da una salva (selva?) di reciproci insulti. Ne ho fatto esperienza personalmente.

Da ricercatore prima e da comunicatore poi, mi è capitato di incontrare più di qualche animalista. Di alcuni sono diventato amico, con altri ho avuto alterchi non da poco, con altri ancora ci siamo rispettati, ma non compresi.

Tra questi ne ricorderò sempre due:

una ricercatrice che si rifiutò di lavorare su di un progetto perché prevedeva l’espressione di un gene murino in pianta.

una tenera e minuta studentessa di Scienze della Comunicazione che provò a incenerirmi con lo sguardo, seppur con scarso successo, per aver fatto notare che usiamo da decine di migliaia di anni gli animali come fonte alimentare, liquidandomi con un perentorio: “e sarebbe anche ora di finirla!”.

Racconto questi due episodi perché, a mio avviso, sono accomunati da un elemento tutt’altro che secondario. In entrambi i casi vi era della sofferenza vera in queste persone. Il solo pensiero di turbare l’ordine naturale delle cose (nel primo caso) o di uccidere un animale per cibarsene (nel secondo) era fonte, per loro, quantomeno di profondo disagio, se non proprio di fastidio fisico e rabbia. In sostanza, la loro reazione non era frutto di un ragionamento razionale che li aveva convinti dell’inutilità di una certa pratica, ma era piuttosto un’urgenza del proprio essere. Un’urgenza fisica.

Era più forte di loro.

Non potevano accettare questa cosa.

Non potevano trovare pace per questa cosa.

Era più forte di ogni ragione. Aldilà di ogni ragione.

Esattamente come è più forte di noi reagire con altrettanto sdegno e rabbia davanti alla distruzione di anni di lavoro e della possibilità di comprensione e cura di molte malattie invalidanti ad oggi senza speranza.

In sostanza rispondiamo prima di tutto a ciò che siamo, e lo facciamo ad un livello tutt’altro che razionale (anche se ciascuno, a modo suo, vi cerca sempre una razionalità, seppur con alterne fortune). Da nerd, mi piacerebbe conoscere il meccanismo molecolare che ci costringe a vivere questi (opposti) disagi. Il perché l’evoluzione l’abbia conservato. In ogni caso, qualunque esso sia, pretendere un dialogo fondato su pro e contro non è semplicemente possibile quando è il nostro stesso corpo, la nostra stessa natura, a dirci cosa dobbiamo pensare.

Rabelais scriveva:

Fa’ ciò che vuoi, perché per natura l’uomo è spinto ad atti virtuosi.

Si sbagliava, eppure questo non ci impedisce di continuare, ognun per sè, a crederlo.

@DNAyx

 

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