La guerra dei semafori
Mentre continua ad infuriare lo scandalo della carne di cavallo, le cui proporzioni sono ancora ignote e di cui ho già scritto, ribolle da tempo lo scontro tra Paesi comunitari, e tra industria ed organizzazioni consumatori, sull’etichettatura nutrizionale facoltativa.
Ci sono pochi dubbi che, per cercare di controllare l’epidemia dell’obesità, gli europei debbano mangiare meglio, oltre a muoversi di più. Mangiare meglio significa per esempio tenere sotto controllo la quantità di energia (calorie), di grassi, in particolare saturi, di sale, e di zuccheri che si mangiano. Per questo arriverà, dal 2016, l’etichetta nutrizionale obbligatoria su tutti gli alimenti. Però, non basta. Quanti consumatori la leggono, la capiscono e fanno i confronti e calcoli necessari per capire cosa mangiare?
Per questo, gli inglesi – che sono, tra gli europei, quelli con i maggiori problemi, ma anche con la maggior propensione a dar retta alla scienza – avevano proposto lo schema dei “semafori” in etichetta. Semaforo verde, mangia pure, senza esagerare, perché ti fa bene. Tipico esempio frutta e verdura. Semaforo giallo, mangia con moderazione. Per semplificare la discussione, mettiamoci pasta, riso, latticini parzialmente scremati. Semaforo rosso, mangialo per gola, eccezionalmente. Diciamo salame, caramelle, certi dolci e così via.
Naturalmente la semplificazione dello schema è forte, è un po’ paternalistico, e la penalizzazione per alcuni prodotti alimentari è evidente. Ha risposto quindi l’industria inglese (ed europea) proponendo invece i Guideline Daily Amounts (GDA), che avrete probabilmente visto più volte anche sulle etichette italiane. Se in Inghilterra c’era la pressione della proposta dei semafori, l’industria europea ha preferito premunirsi contro analoghi sforzi nei paesi più attenti alla salute pubblica. L’idea di base è diversa dai semafori: non criminalizziamo nessun alimento, ma basiamoci sul principio che nulla fa male se consumato in maniera equilibrata. Diciamo ai consumatori quanti grassi saturi o quanta energia di quella che dovrebbero consumare gli fornisce una porzione di salame, poi saranno loro a regolarsi, facendo confronti e compensando mangiando solo verdura per il resto della giornata.
A parte applicazioni furbesche delle GDA che purtroppo si sono viste, gli studi dei consumatori hanno mostrato che non piace troppo il sistema paternalistico dei semafori, e quello delle GDA non si capisce troppo bene. I consumatori sembrano preferire un sistema ibrido tra i due, sul quale gli inglesi infatti stanno lavorando.
Dove tutto questo diventa una “food war” è nel momento in cui i parlamentari europei tedeschi, poco sensibili al problema dell’obesità, dicono che lo schema inglese è illegale (quindi né semafori, né schema ibrido), mentre sull’altro fronte la maggioranza dei paesi comunitari, guidati dagli scandinavi, dicono che le GDA, con le nuove norme, saranno del tutto illegali (con ululati prevedibili e comprensibili da parte dell’industria). Si tornerebbe quindi alla semplice etichetta nutrizionale, con solo una limitata indicazione del contributo dell’alimento alla dieta. Vedremo le prossime mosse di tutti gli attori di questo scontro complesso.
In Italia, intanto, la comunità medica e dei nutrizionisti non è in grado di mettere in agenda questi problemi; l’industria alimentare è in parte legata ad alimenti poco sani, che sarebbero penalizzati da questi schemi, e quindi poco propositiva. Arrivano dati importanti sulla dieta mediterranea (studiosi spagnoli ne hanno dimostrato rigorosamente i grandi benefici cardiovascolari, al punto che hanno dovuto interrompere lo studio perché i controlli, quelli con la dieta non mediterranea, erano eticamente troppo svantaggiati) che suggeriscono i benefici di uno schema di etichettatura in grado di aiutare gli italiani a mantenere una dieta vicina a quella mediterranea, tradizionalmente sana.
Ma, nel Paese dei compromessi, immaginare una proposta qualificata e coraggiosa significa sognare ad occhi aperti. Aspettiamo notizie dal mondo.