L’osso autorigenerante che si stampa in 3D

Ricercatori del Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione i con colleghi del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Imperial College di Londra hanno sintetizzato nuovi materiali ibridi, autoriparanti e biocompatibili, per rigenerare il tessuto osseo e cartilagineo.

Il biomateriale, stampato in 3D, è costituito da una componente inorganica a base di silicio e da una matrice polimerica innovativa, che danno origine ad un ibrido in grado di auto-ripararsi in caso di fratture o in caso di scheggiature.

Le proprietà del materiale, sviluppato nell’ambito del finanziamento del Ministero dell’Università e della Ricerca, “Metodologie chimiche innovative per biomateriali intelligenti” (MIUR PRIN 2010L9SH3K) sono visibili a questo link dove viene mostrata la loro capacità rigenerativa: una volta tagliato, basta unire le estremità ed ecco che la lastrina di bio-vetro si ricompone come nulla fosse avvenuto.

Questa capacità autorigenerante, così come l’elevata resistenza a compressione e trazione, rende il nuovo materiale una potenziale importante risorsa nell’ambito della medicina rigenerativa, utile per esempio alla realizzazione di un materiale che, opportunamente ingegnerizzato, mimi il tessuto e ne stimoli la riparazione, fino ad arrivare alla rigenerazione della cartilagine consumata o danneggiata sia a livello del menisco sia a livello dei dischi intervertebrali. Ma non finisce qui, perché la tecnologia messa a punto potrebbe essere estesa alla realizzazione di materiali innovativi ultraresistenti e autoriparanti per innumerevoli applicazioni di uso quotidiano, come monitor per PC e schermi per smartphone, secondo quanto spiegano Laura Cipolla e Laura Russo, responsabili della ricerca e rispettivamente professore associato e assegnista di ricerca di Chimica organica dell’Università di Milano-Bicocca.

“C’è ancora molta strada da fare e sarà necessario diverso tempo e uno sviluppo approfondito delle ricerche prima che questa tecnologia possa essere applicata nell’uomo, ma il risultato che abbiamo raggiunto è un passo importante per una nuova medicina di frontiera”, chiosa il coordinatore del progetto, il professor Julian Jones dell’Imperial College.

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