Criopreservare il Sangue Cordonale … ma non per uso personale!
Sono ormai quasi 5 anni che il Position Statement su RACCOLTA E CONSERVAZIONE DEL SANGUE CORDONALE IN ITALIA nato dal convegno “Il Sangue Cordonale: Aspetti Scientifici e Organizzativi” tenutosi a Roma nel 2010, è stato prodotto ed adottato dal Ministero della Salute come Linee Guida. Ma nonostante tale documento, frutto del lavoro delle maggiori società scientifiche coinvolte a vario titolo nella donazione e raccolta del sangue cordonale, dei diversi livelli della rete trapianti e sangue, degli esperti nella materia e degli organismi di bioetica, scoraggi la conservazione del sangue del cordone ombelicale per uso personale, tantissime sono le coppie che grazie anche all’Accordo stato-Regioni n. 62/CSR del 29 aprile 2010, ancora oggi preferiscono spendere oltre 2mila euro per esportare e conservare l’unità di sangue cordonale presso una struttura con sede all’estero.
Ma cos’è il Sangue Cordonale? Per cosa viene utilizzato? E perché non è possibile conservarlo per uso personale in Italia?
Il sangue del cordone ombelicale (detto anche sangue placentare) è ricco di cellule staminali ematopoietiche simili a quelle presenti nel midollo osseo. Per questo motivo, da tempo viene utilizzato a scopo trapiantologico contro gravi malattie del sangue quali leucemie, linfomi, talassemie, oltre ad alcune immunodeficienze e difetti metabolici. Il primo trapianto di staminali emopoietiche ottenute da sangue cordonale venne effettuato nel 1988 in Francia e ad oggi sono stati effettuati oltre 10.000 trapianti allogenici con questo tipo di cellule staminali, di cui quasi 700 in Italia, con risultati del tutto sovrapponibili a quelli ottenuti con cellule staminali da midollo o da sangue periferico. L’unità di sangue cordonale, dopo la raccolta in sala parto, viene inviata ad una specifica “banca” pubblica, dove viene sottoposta ad una serie di controlli specifici per verificare l’idoneità alla conservazione e definire le caratteristiche immunologiche finalizzate all’analisi della compatibilità fra donatore e ricevente.
La conservazione del sangue cordonale ad uso autologo invece in Italia non è possibile semplicemente perché ad oggi non esistono evidenze scientifiche riguardo a un suo impiego a scopo personale al di fuori dei casi previsti dalla normativa di riferimento.
Non esistono ovvero evidenze consolidate a sostegno della reale utilità di tale pratica e, pertanto, mancano i presupposti per considerare la stessa pratica appropriata. Inoltre, le cellule del sangue cordonale potrebbero essere già portatrici dei markers della malattia, anche se questa non è ancora evidente, con nessun beneficio, se non con danno, per il futuro paziente. Non sono inoltre segnalati casi di infusione di cellule staminali emopoietiche congelate per oltre 15 anni, per cui non vi sono certezze sulla possibilità di mantenere le caratteristiche biologiche e funzionali di queste cellule per tempi di conservazione così lunghi.
Il Ministero della Salute pertanto ritiene che “l’attuale legislazione italiana sia coerente con questa posizione e che essa sia equilibratamente rispettosa dei diritti dei cittadini, nel primario interesse di sostenere l’accesso equo e paritetico a prestazioni sanitarie appropriate e di alto valore assistenziale”.
L’invito pertanto rivolto a tutte le future mamme resta quello di raccogliere il sangue cordonale, conservarlo in una biobanca autorizzata e inserirla in una rete internazionale così da renderlo disponibile per eventuali riceventi compatibili.
Pilade Cortellazzi,
Consigliere Nazionale ANBI e Dirigente Biologo presso Unità di Manipolazione CSE – Piacenza