L’OGM che non ti aspetti
Che il nostro DNA fosse un guazzabuglio era cosa abbastanza nota, almeno tra gli addetti ai lavori. Circa il 44%, ad esempio, dei 3 miliardi di lettere che lo compongono è fatto da trasposoni, piccole sequenze di DNA capaci di spostarsi qua e là per il nostro genoma. Come se non bastasse, i ricercatori al suo interno hanno anche trovato qualcosa come 100.000 sequenze virali, pari all’8% di tutto il DNA che ci portiamo appresso. Se l’aver dentro tutta questa confusione genetica ci lascia qualche inquietudine, possiamo comunque affidarci alla massima “mal comune, mezzo gaudio”, non è che infatti gli altri esseri viventi se la passino meglio, anzi.
Se prendiamo il genoma del mais, di poco più piccolo del nostro, ne esce che l’85% del suo DNA, ovvero 2 miliardi di lettere sulle 2,3 totali, appartiene a centinaia, sì proprio centinaia, di famiglie diverse di trasposoni che hanno deciso di mettere radici in una delle più popolari colture alimentari del globo.
Non tutto il male comunque viene per nuocere. Se siamo ciò che siamo, e se le piante di cui ci cibiamo sono quel che sono, lo dobbiamo anche a queste sequenze di DNA che vivono alle nostre spalle perché, in più di un’occasione, ci hanno dato quella marcia in più (creando e donandoci nuovi geni) che ci ha permesso di crescere come specie, letteralmente.
Il punto però è un altro. Se tutta la robaccia che si è imboscata nel nostro DNA, e anche in quello delle cose che mangiamo, c’è da milioni di anni, si può legittimamente ritenere di poter stare moderatamente tranquilli. Diverso è il discorso se cominciamo a pacioccare noi con il DNA e a inserire geni qua e là con meccanismi che ricordano questi, ma magari proprio uguali uguali non sono. Insomma, uno potrebbe dire: questa roba è naturale, gli OGM, gli Organismi Geneticamente Modificati, chissà.
In realtà uno dei sistemi più usati per produrre OGM si basa sull’impiego di un comune batterio del suolo: l’Agrobatterio. Questo batterio ha una capacità peculiare, è in grado di trasferire una parte del suo DNA (il T-DNA) alle piante e di riuscire a far credere loro che in ciò non vi sia nulla di strano, tanto che queste finiscono per considerarlo come proprio. Il sistema serve al batterio per far fare alla malcapitata pianta ciò che vuole lui, ma questo escamotage è stato usato anche dai ricercatori che lo hanno utilizzato per conferire alla pianta specifiche caratteristiche. In sostanza, sebbene dietro un OGM ci sia la mano del ricercatore, il meccanismo che ha utilizzato per crearlo se l’è inventato Madre Natura. A testimoniarlo, tra l’altro, è ora arrivato un inatteso supporter naturale del transgenico: la patata americana. Studiando questo tubero, sono stati infatti rintracciati nel suo genoma ben due T-DNA, il primo presente sia in alcune varietà selvatiche sia in alcune coltivate, il secondo solo (e in tutte) le varietà coltivate, un’aggiunta questa seconda, che ha regalato alla pianta ben 4 geni batterici nuovi di zecca.
Stando ai dati sembrerebbe dunque che la transgenesi (naturale) sia all’origine della coltivazione della patata americana, più o meno 10.000 anni fa, la quale si aggiudica, per il momento, il titolo di prima pianta GM pensata per il consumo umano diretto. Gli OGM, a quanto pare, sono già tra noi, e da un bel po’, #sapevatelo.