La guerra del Sud Africa alle Big Pharma

In Sud Africa, il ministro della salute Aaron Motsoaledi ha accusato un gruppo di multinazionali farmaceutiche di cospirare contro lo Stato e il popolo sudafricani e di pianificare un omicidio di massa.

Sono parole forti quelle del ministro Motsoaledi riportate dal giornale Mail & Guardian. Motivo dell’indignazione: un documento redatto da una società statunitense di lobbying, la PAE in cui si propone una campagna per contrastare una proposta di legge che indebolirebbe la protezione brevettuale sui farmaci.

Secondo alcune fonti, la PAE sarebbe stata interpellata dall’organizzazione che coordina le multinazionali farmaceutiche in Sud Africa, la IPASA, anche se quest’ultima nega di aver dato alcun incarico e, anzi, sostiene di aver già rifiutato la proposta.

Su una cosa tutti sono d’accordo:

la proposta di legge, pubblicata in bozza a settembre e per ora soltanto presentata ai commenti del pubblico, renderebbe in effetti piuttosto deboli i diritti brevettuali sui farmaci. In particolare, consentirebbe più facilmente allo Stato di assegnare licenze obbligatorie limitando il compenso del titolare del brevetto, impedirebbe alle multinazionali di distribuire il farmaco in Sud Africa a prezzi superiori che in altri paesi, e renderebbe più severi i requisiti di novità e altezza inventiva per la brevettazione di nuovi farmaci evitando quindi la pratica dell’evergreening.

Argomento di dibattito più generale, invece, rimane la questione se una protezione brevettuale più debole sui farmaci rappresenti davvero un vantaggio per i pazienti dei paesi più poveri. E ciò al di là delle considerazioni sugli interessi economici che possono avere le aziende farmaceutiche o i governi degli Stati più poveri.

Qualche settimana fa l’Economist ha pubblicato un interessante articolo in cui sostiene che una protezione forte sui farmaci sarebbe nell’interesse anche dei malati, non soltanto delle Big Pharma.

La ragione di ciò sarebbe un’evoluzione negli ultimi anni delle problematiche sanitarie dei paesi in via di sviluppo.

In passato, i paesi più poveri erano colpiti da epidemie di HIV e di altre malattie infettive. È ragionevole che i governi ricorressero alle licenze obbligatorie per far fronte a queste emergenze, ma è altrettanto indubitabile che questo strumento non incoraggiasse l’innovazione da parte delle industrie farmaceutiche.

Di recente, però, nei paesi emergenti, le persone hanno incrementato la loro aspettativa di vita e si ammalano sempre più spesso di patologie tipiche dei paesi più ricchi, come cancro, diabete e malattie che richiedono cure croniche. Ciò rappresenta un mercato interessante per le industrie farmaceutiche, un mercato a cui certo non possono rinunciare. Tuttavia, la spesa pubblica che grava sui governi di questi paesi è già molto elevata. Per questo motivo, le Big Pharma hanno già messo in pratica delle politiche di prezzi scontati per i farmaci venduti nei paesi più poveri. Il rischio di questo approccio è tuttavia che i farmaci vengano acquistati a basso costo nei paesi più poveri e rivenduti in quelli più ricchi per trarne profitto.

Secondo l’Economist, la strategia per far fronte a questo commercio illegale è rafforzare la tutela brevettuale sui farmaci non allentarla.

@alessandrabosia

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