Amflora e Stamina: quando avere ragioni non basta

Alla Scienza (e agli scienziati) piace avere ragione. Di converso detestano essere contraddetti.

A loro discolpa va detto che spesso ci beccano e che, a volersi mettere contro le evidenze scientifiche si finisce sempre con il farsi del male.

Ma non è questo il punto delle 2 parole di oggi.

In pochi giorni abbiamo avuto modo di assistere a due clamorosi “ribaltamenti” di fronte su altrettante spinose vicende a sfondo scientifico: l’annullamento della Commissione di Valutazione per Stamina e l’annullamento dell’autorizzazione UE per la patata OGM Amflora.

Se qualcuno fosse ancora all’oscuro dei fatti, può leggersi la ricostruzione di Marco Cattaneo per Stamina e l’analisi di Federico Baglioni su Amflora.

Queste vicende, a mio modo di vedere, hanno molteplici punti di contatto. Vorrei segnalarne 2 che ritengo particolarmente interessanti:

1) In entrambi i casi a rimescolare le carte è stato un tribunale e in entrambi i casi a farla da padrone è stato un vizio di forma

 

2) In entrambi i casi la comunità scientifica ha sottolineato con forza le sue ragioni prendendo le distanze dalle sentenze

Sul punto 1. Le sentenze, come sottolineava anche Simone Maccaferri commentando la vicenda Stamina, si possono commentare. Il commento che mi sento di fare è che i tribunali hanno ragione. Il vizio di forma c’è. Piaccia o meno, che sia scientificamente fondato o meno è irrilevante (ai fini giuridici – e in questo caso è quel che conta). Viviamo in un mondo che possiede le regole che noi abbiamo deciso di dargli. Queste sono. Queste ci meritiamo.

Sul punto 2. La comunità scientifica ha delle sacrosante ragioni nel ribadire che Amflora non ha ucciso né ucciderà nessuno, e che del metodo Stamina (è bene ricordarlo) non si sa ancora nulla, anche considerando le 3 pagine di Marino Andolina apparse su una rivista koreana (all’interno dell’articolo peraltro non vi è alcun riferimento a Stamina, e nelle 6 righe dedicate al metodo di produzione delle cellule, si fa riferimento unicamente alla coltivazione di cellule mesenchimali). Per cui si può dire che siamo ancora qui:

Stabilito quindi che sia i giudici sia i ricercatori hanno ragioni da vendere, la domanda diventa:

Perché non si possono avere provvedimenti scientificamente ineccepibili e al contempo giuridicamente inattaccabili?

La risposta è semplice anche se tutt’altro che facile da affrontare.

Cultura. Lingua. Forma mentis. Chiamatelo come volete, ma è quella roba lì.

La radice del pasticciaccio in cui ci troviamo, su queste e molte altre vicende che vedono il rapporto tra scienza e società protagonista, sta nel fatto che la specializzazione dei curricola ha raggiunto livelli tali da rendere incomunicabili tra loro mondi che invece, per l’imperativo stesso cui la scienza oggi è sottoposta (diventare a.s.a.p. tecnica), dovrebbero invece essere in continua simbiosi.

Un biotecnologo, per essere tale, non può limitarsi a sapere a memoria la sequenza del genoma umano, o di qualunque altro organismo passi per il suo bancone, ma dovrebbe impararsi quantomeno un altro paio di ABC, da quello dell’economia a quello della comunicazione, e perché no, anche quello della giurisprudenza. Lo stesso vale per economisti, comunicatori e giuristi che, prima o poi, si troveranno a dover gestire e dirimere questioni di natura (anche) scientifica. Esistono già alcuni interessanti tentativi a riguardo, anche se, purtroppo, un po’ snobbati.

Certo, se avessimo dei professionisti capaci di far dialogare tra loro i diversi mondi, avremmo anche lo strumento, almeno in potenza, per evitarci altri guazzabugli come questi in futuro. Intanto possiamo beatamente continuare a lanciarci addosso le nostre rispettive ragioni con la certezza che non ci capiremo mai.

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