Perché la Giustizia non capisce la Scienza?

È di pochi giorni fa il pronunciamento del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio che, sospendendone l’efficacia, annulla i decreti ministeriali relativi alla nomina della Comitato scientifico chiamato dal Ministero a valutare l’autorizzazione al lancio della sperimentazione Stamina e, di conseguenza, ne annulla anche il parere contrario emesso.

Nel nostro Paese, quando fa comodo, vige la regola non scritta per cui “le sentenze si applicano, non si commentano”. Una ipocrisia fine a sé stessa, e derivante da un lungo periodo in cui si è percepita la giustizia quasi esclusivamente come ad personam o contra personam, impedendo di entrare nel merito dei temi reali toccati, fornendo così un alibi alla magistratura per esercitare un ruolo anche politico su temi quali la scienza, l’università, la ricerca, l’innovazione tecnologica, e pure l’etica, laddove la politica manifestava i propri limiti strutturali e contingenti.

“Considerato che il requisito dell’indipendenza (…) deve quindi concretizzarsi innanzitutto nel non approcciarsi alla sperimentazione in modo prevenuto, per averla già valutata prima ancora di esaminare la documentazione prodotta dalla Stamina Fondation”.

 

“(…) è pertanto necessario che ai lavori partecipino esperti, eventualmente anche stranieri, che sulla questione non hanno già preso posizione o, se ciò non è possibile essendosi tutti gli esperti già esposti, che siano chiamati in seno al Comitato, in pari misura, anche coloro che si sono espressi in favore di tale Metodo”

Questi sono due passaggi chiave che mi rendono molto perplesso sul pronunciamento del TAR del Lazio, il quale prende una posizione che travalica il suo puro ruolo tecnico-giudiziario.

In primo luogo, abbiamo spesso parlato della necessità degli scienziati di far sentire la propria voce, instaurando un rapporto fra scienza e società che porti ad una maggiore capacità di ascolto da parte degli scienziati verso le istanze della società e, al tempo stesso, una maggiore apertura dei cittadini verso un confronto continuo coi ricercatori.  Dal punto di vista tecnico, l’espressione di un’opinione da parte di un ricercatore, in un dibattito scientifico, si basa sulla letteratura scientifica e sulle evidenze fattuali presenti in un dato momento. Pensare che l’espressione di una opinione da parte di uno scienziato prima di aver esaminato la documentazione relativa alla sperimentazione influenzi gravemente il processo di valutazione equivale a metter in discussione l’intera capacità del mondo della scienza di auto-valutarsi.

In secondo luogo, la cosa a mio avviso più drammatica, culturalmente ancor prima che giuridicamente, che il TAR esprime in questo pronunciamento è il principio del “Manuale Cencelli” applicato alla Scienza.

La spartizione del potere sulla base dell’appartenenza politica o dell’ideologia è stata una delle più grosse problematiche del nostro Paese, ingessato fra esponenti di aree diverse nominati in ruoli chiave seguendo logiche indipendenti dal proprio curriculum. Pensare che un Tribunale sostenga la necessità di includere in un Comitato Scientifico anche una quota di scienziati “pro-Stamina”

ammesso che esistano degli scienziati no-Stamina, che per me sarebbero contraddittori non essendo la scienza pro- o contro nulla di per sé

significa andare contro la libertà della scienza. Significa legittimare un approccio in cui, per assurdo, un creazionista potrebbe far ricorso al TAR affinché sia riconosciuta “in pari misura” anche questa posizione nella definizione dei programmi scolastici di scienze.

Personalmente, sono da sempre molto critico sul ruolo dei TAR e sulla stortura dell’uso aggressivo della giustizia amministrativa in Italia. Non faccio mistero dell’aver più volte, anche in pubblico, durante il mio mandato alla guida dell’ANBI, sottolineato come l’abolizione del TAR rappresenterebbe la risoluzione di tanti problemi per il nostro Paese. La scorsa estate, in una intervista sul Messaggero, anche l’ex premier Romano Prodi ha espresso la stessa idea. Abolire i TAR (che oggi in Italia vedono pendenti circa 350.000 procedimenti) perché, dice Prodi

il ricorso a questi tribunali è diventato un fatto normale ogni volta in cui si procede a un appalto o che sia pronunciato l’esito di un concorso pubblico o una qualsivoglia decisioni che abbia un significato economico.

Una levata di scudi è venuta dall’Ordine degli Avvocati e dalle associazioni di amministrativisti.

Perché il problema non è il pronunciamento su Stamina, nel merito è già entrato anche Federico Baglioni in questi giorni, ma un insano rapporto fra la Giustizia e la Scienza che, ogni mese, non manca di farci rammaricare.

@s_maccaferri

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