L’incontro tra scienziato e malato
Ormai sulla vicenda Stamina si è detto quasi tutto, forse quello che manca è una riflessione, non tanto sulla (mancanza) di validità scientifica e nemmeno su Le Iene, famose per aver lanciato il caso e per averlo, anche recentemente, ripreso in modo poco rigorosi qui e qui. La riflessione che manca è su di noi:
Potevano, gli scienziati, gestire meglio la vicenda?
Io credo di sì e lo dico con profonda amarezza e con la consapevolezza anche di quanto i media poco aiutino una corretta informazione scientifica, e di quanto la politica non consideri, se non quando fa comodo, il parere della comunità scientifica. Però ha riguardato gli ultimi servizi mandati in onda sulla vicenda. E mi chiedo:
Ci si può davvero aspettare che buona parte della popolazione non stia contro il parere della comunità scientifica?
Sarà perchè ho conosciuto persone con situazioni – drammatiche – simili, sarà perché certe scene di impotenza le ho vissute in prima persona, ma i messaggi di quelle famiglie colpiscono. Mentre dal lato degli scienziati è difficile veder trasparire umanità. Come si può “stare dalla parte degli scienziati” quando un gigante (scientifico)come Veronesi, alla richiesta di delucidazioni sul perché il chirurgo avesse espresso un chiaro parere contro la cura senza vedere come stavano i bambini malati, si é messo a sorridere, rispondendo:
Quando mi hanno intervistato ho scritto qualche cosa, ma non è un grande argomento per noi
Certo, potrà essere stato solo uno scivolone, ma non è la prima volta che mi capita di ascoltare risposte di questo tipo anche da altri “illustri”, né possiamo, dopo certe risposte, aspettarci grande amore per la scienza e per gli scienziati.
Sappiamo già quanto è difficile comunicare la scienza, coi suoi freddi numeri e le sue regole, con la sua lentezza (perché i risultati e la loro validazione non nascono sugli alberi) e con le sue disillusioni. Possiamo però cercare di migliorare la percezione che ha la gente, e in particolare chi sta male, del ricercatore e del medico.
E questo obiettivo, purtroppo, non lo si raggiunge scrivendo un articolo sulla sezione di medicina di qualche rivista, né scrivendo un comunicato sul sito dell’associazione X. Lo si fa innanzitutto stando vicini alle persone.
Per quale motivo, come appare dai racconti delle famiglie dei malati, nessuno dei medici e degli scienziati che così fortemente si sono espressi, a ragione, contro questo millantato metodo, sono andati a trovarli?
Ogni ricercatore, ogni medico è spesso oberato da impegni e capisco la necessità di continuare le ricerche, ma mi è difficile credere che nessuno abbia avuto modo in questi ormai 9 mesi di andare a incontrare almeno alcuni di loro. Un gesto che è, a mio avviso, fondamentale perché serve a ricucire quel legame medico-paziente sfaldatosi negli ultimi anni, perché sarebbe utile e, soprattutto, sarebbe un bel gesto.
Forse è mancato il coraggio. Rispondere da un computer o attraverso un’intervista è sicuramente più semplice. Forse c’è stata (e c’è tutt’ora) paura di prendere la responsabilità di una scelta che, in fondo, lascia un groppo in gola a tutti.
Andava fatto. Almeno per far vedere a quella famiglia che, sì, la scienza non ha ancora una cura, ma sta a fianco al malato e sta cercando una cura non per potersene vantare, ma perché ci tiene.
Credo che questo episodio debba farci seriamente riflettere sui nostri errori come scienziati e ricercatori. Perché, è vero, parliamo tanto di scienza e di quanto poco venga capita e apprezzata, ma quanto noi siamo disposti a capire tutto ciò che sta al di fuori di essa?
@FedeBaglioni88