Pesto con botulino: è andata bene
Non c’era probabilmente nessuna tossina botulinica nel lotto di pesto alla genovese, con basilico genovese DOP, scadenza 9 agosto 2013 e numero 13G03, che ha portato più di 100 persone a recarsi al pronto soccorso in tutta Italia. Dei 100, 10 sono stati inizialmente ricoverati in ospedale; 8 sono stati poi mandati a casa; nessuno ha avuto sintomi che suggeriscano botulismo (visione doppia, sfocata, palpebre cadenti, difficoltà respiratorie, e così via). Le prove sui prodotti e su campioni umani sono ancora in corso: i primi esiti sono negativi. La tossina non è ancora stata trovata in nessun campione.
Non si è trattato però di una bufala, ma di un rischio concreto, comunicato e gestito piuttosto male.
Vediamo cosa è successo. L’azienda, Bruzzone e Ferrari, che produce basilico da due secoli (e prodotti trasformati da dieci anni), aveva individuato un “microrganismo potenzialmente dannoso per la salute” nel famoso lotto di un suo pesto: è opinione diffusa che l’organismo era C. botulinum, il batterio sporigeno che in determinate condizioni può produrre una tossina notoriamente letale. Il prodotto, che è un pesto fresco che richiede refrigerazione (e, pare, per questo molto buono), era già in commercio da giorni: quando la “vita commerciale” di un prodotto è breve (in questo caso 30 giorni) e il tempo necessario per gli esami microbiologici è relativamente lungo, i prodotti vengono immessi in commercio prima che i risultati analitici siano noti (e se il patogeno poi si trova quando arrivano le analisi, si presenta un quadro come questo). La commercializzazione senza quarantena è spesso richiesta dalla GDO che vuole comprensibilmente un prodotto vendibile a lungo.
Quando Bruzzone e Ferrari hanno capito che – se la ricostruzione è giusta – avevano un riscontro positivo per il botulino, anche se non per la tossina botulinica, hanno deciso di richiamare il prodotto (un richiamo pubblico è raro in Italia in campo alimentare, nonostante la normativa europea), con tanto di post su Facebook alle 6:41 di sabato mattina (la GDO lo avrebbe saputo venerdì con esposizione di relativi cartelli il pomeriggio). Se c’è botulino vitale, anche se raramente, nelle giuste condizioni si può produrre la tossina letale: l’azienda non poteva dare per scontato che non sarebbe successo.
Qualche ora dopo, il Ministero della Salute, di solito avaro di informazioni in tema di richiami di alimenti, ha emesso un sorpredente comunicato stampa, chiamando l’incidente un “allarme” e con riferimenti ad un “veleno molto potente”.
Giusto avvertire con fermezza di non consumare assolutamente il prodotto (era l’unica cosa seria da fare) ma, forse complice il sabato estivo, l’addetto stampa poteva riflettere su come la notizia sarebbe stata automaticamente ripresa dall’ANSA e da lì a catena, in mancanza di alcuni importanti elementi.
In questi casi la precisione, infatti, è importante: per esempio, il comunicato stampa non menzionava i marchi della GDO sotto i quali il prodotto è stato venduto. Invece, si è fornito solo il lotto, la data di scadenza e il nome del produttore, che è scritto in piccolo sul retro della confezione. Non sono state diramate le foto del prodotto, che sono invece le più utili.
Fondamentale era anche spiegare ai consumatori cosa fare (tenendo conto di quanti avevano già probabilmente consumato il prodotto): invece non si è spiegato che solo in casi di sintomi (che andavano indicati) è necessario richiedere assistenza sanitaria. Questo messaggio andava poi ripetuto in tutte le sedi opportune. Invece si è lasciato che la vicenda prendesse la sua strada, con qualche sforzo in più nella sola Liguria.
Il comunicato stampa suggeriva anche che il richiamo era limitato e quasi completo. Sono naturalmente subito fioccate le segnalazioni di consumatori con pesto in casa, appena comprato o visto al supermarket; si è appreso che i vasetti coinvolti erano 15.000 e distribuiti in tutta Italia, non solo in Piemonte (e Liguria).
La confusione, evitabile, è stata la conseguenza prevedibile per tutto sabato e domenica, con la sola azienda a gestire piuttosto bene la comunicazione su Facebook insieme al sempre valido Ilfattoalimentare (Coldiretti, difendendo la sicurezza degli alimenti italiani, si è dimostrata più pronta delle autorità).
Tra l’altro, come accennato dal Ministero, il lotto contaminato era stato venduto sotto diversi marchi, tra cui quelli dei più grandi supermercati d’Italia. Le catene di supermercati hanno affisso cartelli di allerta nei negozi e, a quanto pare, contattato freneticamente i clienti via e-mail e telefono per informarli del richiamo (quelli con la carta fedeltà), ma non hanno subito lanciato un avviso pubblico. La notizia si è comunque diffusa e qualche catena più moderna ha anche pubblicato l’avviso sul proprio sito (non tutti hanno la tessera fedeltà).
Ad oggi, sembra quindi molto probabile che non si sia sviluppata tossina in nessuno dei vasetti (le prime analisi per botulino dell’Istituto Superiore di Sanità sono state pubblicate ieri dal Ministero, con finalmente i dettagli delle marche e le foto dei prodotti, anche se con comunicazione un po’criptica); le persone che si sono sentite male si sono impressionate o hanno manifestato vomito e diarrea per altri motivi.
Tuttavia, la presenza della tossina in alcuni vasetti non può, e non poteva, essere esclusa. Il prodotto non sembra essere trattato termicamente (o in maniera sufficiente): fa parte di una tendenza globale a favore di prodotti freschi, crudi, che richiedono la refrigerazione come condizione essenziale per la sicurezza.
Visionando le schede tecniche, il pH del prodotto appare permissivo per la crescita del botulino (da specifiche: pH 4,8-5,8); il pesto è pieno di olio che può fornire le condizioni anaerobiche richieste dal batterio per crescere; il prodotto viene utilizzato senza cottura eliminando ogni possibilità di inattivazione della tossina. La catena del freddo, soprattutto in estate, con temperature ambientali anche di 30-40 C, spesso non è affidabile.
Soprattutto, i consumatori possono non capire o non apprezzare la differenza tra il pesto stabile (sempre in vasetti e che può stare fuori dal frigo) e il prodotto refrigerato. Quanti contano sul fatto che l’industria faccia prodotti talmente sicuri che anche se sta fuori dal frigorifero non può far male? Quanti pensano che il botulino sia evidente dal cattivo odore o da altri fattori visibili (non è così) e quindi se alla prova del naso va bene, consumano?
Quindi richiamo del tutto giustificato, e qualche dubbio sul via libera ad un prodotto di questo tipo (e a tutti i suoi concorrenti, sia chiaro).
Nel frattempo, anche se i funzionari sanitari hanno elogiato la società per non aver esitato a fare un richiamo pubblico, la procura ha iniziato un’indagine penale per presunte lesioni colpose: spero che l’esito incoraggi comunque le aziende a fare richiami precauzionali, e non il contrario.
In generale, è presto per trarre conclusioni definitive. Spero che tutti i risultati delle prove siano resi pubblici e confermino che non vi è stato alcun focolaio (per inciso, la vicenda dell’epatite A, ad oggi, è tutt’altro che virtuale, e nessuno ne parla). Credo che sui prodotti freschi, con terreno favorevole alla crescita di botulino e che usano il freddo come unica protezione, bisognerebbe dar maggior retta alle evidenze scientifiche, nonostante gli appetiti del marketing. La comunicazione ufficiale va migliorata: nonostante tutti i piani di crisi previsti dalle normative UE, che abbiamo sulla carta, le autorità non sono riuscite a gestire una crisi rendendola molto peggiore di quanto poteva essere.
Però, per altri versi, così si fa: niente silenzi, quando si sospetta un rischio per la salute, si comunica e si cerca di prevenire il danno. Nessuno mi obbliga a comprare il tuo alimento; ho scelto di farlo fidandomi del tuo lavoro; se scopri di aver sbagliato, il minimo che mi aspetto è che mi avverti.
Non può invece passare il messaggio che, visto che è andata bene, era meglio stare zitti.