US e EU tra agriculture e OGM

Nuovo articolo sugli OGM e nuove, quasi scontate, polemiche. Mi sono imbattuto per caso nell’ennesimo articolo sugli OGM, pubblicato su Giornalettismo. Nel testo vengono descritte le conclusioni di uno studio uscito recentemente sull’International Journal of Agricultural Sustainability. L’incipit è lapidario:

Uno studio che confronta 50 anni di produzioni agricole europee e statunitensi, conclude che la scelta americana a favore degli OGM è perdente.

Poichè l’articolo in questione è molto lungo, mi limiterò a trattare qui solo alcuni punti, partendo da alcune frasi che mi hanno lasciato perplesso. Se qualcuno fosse interessato, sulla pagina di Dibattito Scienza la discussione sta ancora infuriando, anche con l’autore dell’articolo.

Aumento delle rese in US e nord Europa nel mais. Fonte: Giornalettismo

Questo è uno dei primi grafici riportati nel testo. Il messaggio che si vuole far passare è che paesi che hanno adottato gli OGM non abbiano avuto aumenti di rese maggiori rispetto quei paesi, come quelli europei, che hanno quasi sempre ostacolato la sua commercializzazione, concludendo che, dunque, gli OGM hanno fallito.

Le cose in realtà non sono proprio così, dal momento che l’aumento delle rese non è stato il principale fattore di successo degli OGM che sono stati commercializzati finora. Dal 1996, infatti,  la stragrande maggioranza delle colture transgeniche portate sul mercato (prevalentemente soia, mais, cotone e colza)  presentano due caratteri che sono di resistenza a specifiche classi di erbicidi (come il Gliphosate o il Glufosinate) e ad insetti (come diabrotica e/o piralide). I principali vantaggi di queste colture (e dunque i motivi che ne hanno causato l’enorme e costante successo negli anni) vanno dalla semplificazione di coltivazione, al minor uso di insetticidi, alla generale garanzia di avere una buona resa anche in presenza di alte infestazioni degli insetti specifici (una sorta di assicurazione sul raccolto). Quasi mai il fattore vincente è stato l’aumento di resa in sé e quindi non sorprende, dunque, che negli Stati Uniti, forte produttore di colture transgeniche, non si abbia avuto un picco di rese dopo la loro introduzione, anche se in letteratura esistono diversi studi che evidenziano un effetto positivo degli OGM in commercio anche sulle rese.

Il secondo grafico degno di nota è il seguente:

Uso di pesticidi in US e Francia. Fonte: Giornalettismo

In questo caso si vorrebbe mostrare l’andamento del consumo di erbicidi ed insetticidi al 2007, paragonandone le quantità con quelle precendenti al 1996, anno di immissione in commercio delle prime colture transgeniche. Il dato, in effetti, non mostra significative diminuzioni dell’uso dei pesticidi negli Stati Uniti, cosa che sembra avvenire invece in Europa. Questi risultati sembrerebbero confermare la tesi di chi accusa gli OGM di non aver mantenuto la promessa di ridurre l’uso dei pesticidi e l’impatto della chimica sull’agricoltura. Peccato che il dato riguardi i 2 paesi nel loro insieme e non solo l’uso di questi composti sulle colture GM (quindi non c’è dentro solo il mais, la soia, il cotone e la colza, ma anche le mele, le zucchine o le patate che di OGM non hanno molto, ma che di pesticidi ne usano comunque), l’affermazione risulta dunque quantomeno tirata se non proprio tutta ancora da dimostrare. Non vi sono inoltre riflessioni di alcun tipo sulle classi di tossicità dei composti in questione o sul loro impatto ambientale relativo.

Usare 1kg di un composto con persistenza di 2-3 giorni o 5 grammi di un altro con persistenza 2 mesi non è proprio la stessa cosa.

 

Si compara, come se fosse la stessa cosa, ad esempio l’uso di insetticidi chimici (un noto insetticida come il chlorpyrifos ha un LD50 di circa 100, cioè bastano 100 milligrammi/kg di peso corporeo per uccidere il 50% dei ratti) con le quantità di proteina insetticida espressa nelle piante Bt che oltre a funzionare solo su insetti a digestione basica (e noi abbiamo una digestione acida) ha un LD50 >4 grammi/kg!

Resta poi il discorso, cruciale, che un prodotto è fallimentare (perdente) se chi dovrebbe beneficiarne è scontento e non è più disposto a spenderci soldi. Quello che sta accadendo, invece, è esattamente il contrario. L’adozione di colture transgeniche a livello globale continua ad aumentare e anche negli Stati Uniti, paese industrializzato dove le colture OGM sono decisamente prevalenti, si mantiene su livelli molto alti anno dopo anno.

Questo non solo significa che gli agricoltori li provano, ma anche che poi continuano ad utilizzarli.

Questo dimostra, ancora una volta, che se le affermazioni, come l’inutilità o il fallimento degli OGM, vengono confrontate coi dati di realtà dimostrano tutta la loro fragilità.

Un altro difetto importante dell’articolo è che, come spesso accade, si parla degli OGM e si indicano gli OGM come causa di problemi che sono in realtà comuni in agricoltura o associati al sistema produttivo moderno. Il tutto in genere presentato come un insieme inestricabile di mezze argomentazioni che si tengono assieme, più che per logica, per forza di gravità. Ad esempio i problemi di concentramento del mercato sementiero US e la riduzione della diversità genetica in colture come il mais, non è un problema solo US, ma anche europeo, dove i giganti a stelle e strisce la fanno da padroni (si pensi ad esempio al mercato italiano del mais che è dominato da Pioneer e che le varietà ibride rappresentano circa il 99% di tutto il mais nazionale).

Mi pare quindi che esista una sorta di necessità da parte dei detrattatori di questa tecnologia di usare o trovare argomentazioni sempre nuove e diverse ogni qualvolta una di quelle già usate si riveli falsa o palesemente screditata. solo che ormai la lista cominci a essere lunga, anzi, troppo lunga.

@FedeBaglioni88

 

PS. Nella discussione che si è aperta su Dibattito Scienza ci sono altre analisi molto interessanti. Ne riporto brevemente alcune che mi sono parse particolarmente significative:

  • Lo studio paragona l’agricoltura USA con quella del Nord Europa, questo genera problemi dimensionali (34 milioni di ha a mais negli US e in un range di climi i più variabili, contro i 2,2 nord europei), e di significato del paragone. La corn belt americana ha molte più assonanze con la pianura padana che con l’agricoltura belga o tedesca.
  • Manca un controllo, banale ma molto informativo: la Spagna. Loro imputano le differenze di resa tra US e Nord Europa agli OGM, ma per sapere se è un’affermazione sostenibile basterebbe confrontare l’andamento delle rese tra Italia e Spagna in UE visto che la Spagna usa OGM dal 1998 e l’Italia no. Se si guardano i dati si vede che l’Italia è ferma al palo dalla metà degli anni novanta, mentre la Spagna è proprio da allora che è in crescita in termini di rese.
  • I ricercatori poi sembrano sostenere che il sistema US è meno sostenibile di quello del Nord Europa perché con la siccità del 2003 negli US si sono perse 89 trillioni di calorie contro le sole 5 trillioni di calorie perse in EU. Peccato che questo dato, se normalizzato per le superfici investite a mais (34 Mha e 2 Mha), ci dica che il rapporto perdite/superficie sia all’incirca analogo  (2,6 contro 2,5).
  • Non manca poi la citazione di autori e paper che godono di bassa stima nella comunità scientifica come ad esempio Benbrook.

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