Il piacere della carne?
Qualche giorno fa, Coldiretti ha comunicato che il consumo di carne, stimato come numero di animali macellati, è calato in misura sensibile ad inizio 2013 (-7%, nel primo bimestre). La flessione dei consumi è in parte dovuta alla situazione economica generale. Probabilmente però questo ha interagito con una percezione meno positiva dei tessuti muscolari animali usati come alimento, dal punto di vista della salute.
In Italia, i consumatori vegetariani sono ancora relativamente pochi (secondo Eurispes, nel 2012, erano il 6%, tra vegetariani e vegani). Le motivazioni sembrano principalmente legate alla salute. Le diete vegane, prive di proteine animali, sono anch’esse in crescita, sostenute da alcune opere molto popolari, come il “The China Study” di Colin Campbell con il figlio Thomas M. Campbell. Quest’ultimo volume, per quanto accattivante nella narrazione e negli argomenti, è più un’opera ideologica che scientifica: con argomenti convincenti si è dimostrato che le analisi sono parziali, le estrapolazioni discutibili e molti passaggi non trasparenti. Tuttavia, le estremizzazioni filosofiche si poggiano su dati abbastanza convincenti. Le diete vegetariane sembrano positive per la salute, perché, a quanto pare, riducono gli apporti di grassi saturi; tra l’altro, mentre quelle vegane richiedono delle precauzioni piuttosto particolari, quelle vegetariane sono generalmente adeguate.
Se anche le nuove linee guida dietetiche americane ufficiali consigliano di ridurre il consumo di carne, e se quelle nazionali enfatizzano l’aumento di consumo di cereali, legumi, ortaggi e frutta, sappiamo che la dieta mediterranea, prevede un basso consumo di carne rossa (poche volte al mese) e limitato di altre proteine animali. Tra dieta mediterranea e vegetariana credo sia difficile sostenere che la prima sia meno positiva.
Evidentemente per chi produce carne può essere un problema, tanto che qualcuno ha sostenuto che le linee guida americane non abbiano specificato di quanto ridurre il consumo di carne su pressione dell’industria via Congresso (e non è un’ipotesi da escludere se le stesse pressioni hanno portato il Congresso a far classificare la pizza come ortofrutta ai fini delle diete scolastiche). Anche l’impatto ambientale però pare contro la carne, e per nutrire l’umanità con un impatto ragionevole dovremmo usare più proteine vegetali, come quelle della soia. Del resto, tra le altre, la multinazionale della chimica DuPont ha investito e investe nella soia e nelle proteine della soia anche in questa ottica. Naturalmente anche su questo fronte ci sarà una “food war”, tra opposti dati, punti di vista, ed interessi.
Davanti ai dubbi sulla carne, la reazione di molti è crearsi un nuovo tabu. Gli alimenti sono così importanti per noi umani che trasferiamo su di essi emozioni ed istinti. È facile sentire le storie peggiori sulla carne, che diventano leggende, e poi miti. La carne resta una fonte di proteine digeribili e di altri nutrienti importanti specie per alcune fasi della vita. Gli Homo sapiens – noi – non siamo dei vegani rinnegati. Il nostro intestino si è accorciato nel corso dell’evoluzione, quando abbiamo ridotto il consumo di vegetali. Scimpanzé e babbuini cacciano e mangiano altre scimmie. Più convincentemente, specie di ominidi come quelle del genere Paranthropus, tutte caratterizzate da mandibole più grosse dei nostri diretti antenati, e quindi da una dieta più vegana, si sono estinti. La teoria è che la loro dipendenza da piante specifiche (un po’come il panda che mangia solo bambù) li ha condannati all’estinzione, mentre i nostri antenati, più spazzini ed onnivori, ce l’hanno fatta. Del resto, l’uomo di Neanderthal che pare mangiasse quasi solo carne non c’è più.
Ricordiamoci quindi da dove veniamo e chi siamo: dei primati onnivori che possono variare la propria dieta per sopravvivere.