Il metodo Vannoni e il metodo scientifico
Ieri sera, a Le Iene, è andata in onda un’altra puntata dedicata al caso della piccola Sofia e dello scandaloso rifiuto delle cure da parte delle istituzioni. Quando vengono mandati in onda servizi strappalacrime che parlano di bambini gravemente malati ai quali “sono state vietate le cure”, è difficile non rimanerne emotivamente coinvolti e gridare allo scandalo. La storia della piccola Sofia, bambina affetta da una grave malattia neurodegenerativa congenita, inizia mediaticamente con la diffusione in TV di questo servizio che ha scatenato feroci proteste e una campagna (specie sul web) che, solo per gli addetti al settore, pare assurda e pericolosa.
Alla bambina, infatti, dopo una prima somministrazione, è stata vietata la cura con staminali mesenchimali del prof. Vannoni (Stamina Foundation) presso l’ospedale di Brescia. A nulla sono servite né le lettere né le chiamate al Ministro Balduzzi, né l’intervento addirittura di Adriano Celentano. Fino a quando, qualche giorno dopo, dal Ministro stesso è stata concessa la continuazione delle cure prima in un laboratorio specializzato (Ospedale Maggiore di Milano) e poi nella struttura di Brescia, ma per un’unica somministrazione.
Ma cos’è veramente successo? Per quale motivo queste cure erano state rifiutate?
Iniziamo col dire subito che il prof. Vannoni non è un medico, ma è laureato in lettere, non vanta un’attività scientifica riconosciuta in campo medico e, soprattutto, non risulta pubblicato alcun lavoro riguardante la cura in questione. Inoltre, le ispezioni dei NAS e dell’AIFA, che hanno convinto il PM Guariniello a sospendere la somministrazione della cura (causando numerosi ricorsi alcuni dei quali poi vinti, ma non quello dei genitori di Sofia), hanno rilevato grossissime lacune e punti oscuri:
i risultati delle indagini parlano, ad esempio, di cattiva conservazione e confusa etichettatura dei campioni di cellule; presenza di inquinanti e di cellule di dubbia provenienza (ad esempio da altri pazienti malati); di un protocollo superficiale, non chiaro e che prevede l’uso di prodotti non approvati per uso clinico. In sostanza, un laboratorio con gravissime irregolarità.
Aldilà dei limiti del laboratorio, appare però opportuno porsi una domanda cruciale:
Ci sono evidenze che questa cura funzioni?
La letteratura scientifica consta di pochi articoli con risultati discordanti, poco chiari e facenti riferimento a patologie diverse da quelle che riguardano il caso di Sofia, assurto agli onori della cronaca. I miglioramenti menzionati dai genitori della piccola riguardano un lieve movimento delle mani e poco più. Per un genitore può apparire come un grosso successo, ma questo tipo di miglioramenti, a detta degli esperti, non cambia né influisce sul decorso della malattia, dove il problema più grande è il respirare. Far balenare l’illusione di una guarigione è dunque quantomeno avventato. Inoltre non si tratta di cura compassionevole in quanto una cura si definisce tale se è sufficientemente sperimentata, anche se in modo incompleto e incerto, per trattare malattie per cui non esistono cure. Le cure compassionevoli poi dovrebbero essere gratuite e, almeno per alcuni pazienti, pare non essere stato così.
Se è vero poi che andrebbe rispettata la libertà del cittadino di curarsi come vuole, è anche vero che la predisposizione di ospedali e l’autorizzazione a una cura che non ha i requisiti minimi per essere definita tale non dovrebbe appartenere alla prassi di un paese sviluppato. Sempre più spesso assistiamo invece a decisioni, su questioni scientifiche e sanitarie, prese in seguito a sollevazioni popolari escludendo gli aspetti e le valutazioni tecnico-scientifiche che invece dovrebbero esserne la base fondante. Ciò però significa espellere l’arbitro e lasciare il campo, e i cittadini, alla mercè di chi è più bravo a sfruttare tragedie personali per un po’ di visibilità, se non per lucro.
Può anche non essere questo il caso, ma le terapie nuove, comprese quelle staminali, prima di essere lasciate alla libera scelta dei cittadini dovrebbero essere condotte in modo rigoroso, verificabile, effettuate con protocolli chiari, in ambienti puliti e a norma. Devono in sostanza rispettare il metodo scientifico. Il metodo Vannoni non pare rispondere a questi requisiti.
Immaginiamo per un attimo che a non rispettarli sia una qualunque casa farmaceutica, meglio se una Big Pharma, subito tutti grideremmo, giustamente, allo scandalo e all’uso di cavie umane e allo sfruttamento del dolore e della vulnerabilità dei malati e delle loro famiglie. La rete sarebbe affollata di petizioni che chiedono al Ministro di bloccare subito la sperimentazione e la magistratura di indagare. Fa piacere sapere che esattamente questo è ciò che è avvenuto. Ribadiamo: giustamente. Perché il metodo scientifico deve valere per tutti, soprattutto per la nostra salute. Si spera che non si receda da questa posizione.
Una volta che si rinunci all’applicazione del metodo scientifico per la valutazione della reale efficacia delle cure proposte e sostenute dal SSN non esisterà più alcun argine contro guru e santoni.
Federico Baglioni