Calano i laureati? Cosa significa

di Simone Maccaferri

Nei giorni scorsi, è stato pubblicato un puntuale resoconto sullo stato dell’Università italiana. Numeri che fanno parlare il Consiglio Universitario Nazionale, l’organismo che ha stilato il documento, di “emergenza nazionale”.

Negli ultimi otto anni c’è stato un calo di 58.000 iscritti all’Università, pari a quasi il 20%, ed un calo del 22% del personale docente impiegato nei nostri atenei. Inoltre, è da sottolineare che l’Italia sta al 34mo posto su 36 nei paesi OCSE per numero di laureati. Nel settore delle biotecnologie, vice versa, non abbiamo registrato decrementi del numero di immatricolati dal 2003 ad oggi, attestandosi consistentemente fra i 4300 e i 4500 studenti.

Da questi numeri si possono trarre tre importanti considerazioni.

Knowledge Divide

In primo luogo, il calo del numero di studenti universitari, contribuisce ad allontanare l’Italia dall’Europa, soprattutto all’interno di un quadro di tagli ai fondi per il diritto allo studio. Al tempo stesso non va dimenticato che il 34% degli iscritti all’Università sono fuori corso,  e quasi il 20% di questi sono inattivi. Esiste quindi un problema critico, che è il bilanciamento fra meritocrazia e diritto allo studio. In un periodo storico di tagli cospicui all’università, andrebbe radicalmente riscritto il concetto di valutazione meritocratica, sia per i fondi di diritto allo studio che per i fondi da dedicare ad edilizia studentesca, ricerca e docenza.

Poco dialogo tra accademia e impresa

Il secondo dato che mi preme sottolineare è che l’Italia abbia 6000 dottorandi in meno l’anno rispetto alla media europea. Questo dato è devastante, a mio avviso, poiché certifica il fallimento culturale del “Processo di Bologna” nel nostro Paese. L’Italia non è stata capace di valorizzare, con politiche universitarie e di immissione sul mondo del lavoro, il terzo livello dell’istruzione universitaria. C’è ancora tempo per farlo, ma va ricordato che, la Legge Gelmini, la quale prevedeva la valorizzazione e il placement industriale per i dottorati, è stata osteggiata da larga parte dell’opinione pubblica, della politica e dell’Università. Prima di criticare, i problemi andrebbero conosciuti e capiti.

Sinergie per competere

Ultimo punto che voglio commentare, riguarda la chiusura dei corsi di laurea nell’ultimo decennio. Oltre 1000 corsi di laurea sono stati tagliati, per problemi di budget e di mancanza di studenti. Troppo spesso le Università hanno strumentalizzato l’autonomia universitaria per far fiorire corsi di laurea senza una reale prospettiva occupazionale, uguali a tanti altri, ma solo con nomi più accattivanti. In Italia ci sono troppi corsi di laurea, troppo differenti fra loro per giustificare l’obsolescente mantenimento del valore legale del titolo di studio. Inoltre, l’applicazione nozionistica delle leggi ha anche portato a chiudere corsi di laurea molto importanti per il mondo industriale, come nel nostro settore i Corsi di Laurea in Bioinformatica. Esiste un problema di base: Università e industria debbono interagire fortemente, ed è necessario dare un maggior peso ai rappresentanti del mondo del lavoro nei comitati di indirizzo dei corsi di laurea. Continuare a dire a gran voce “Fuori i privati dall’Università pubblica” è un atteggiamento vecchio, ideologico ed immotivato, che continuerà a produrre un disallineamento fra l’Italia ed il resto d’Europa. A scapito dei nostri giovani.

 

Commenti

commento/i